Silvana Perotti
Napoli, 25 ottobre 2008 - 16,50
Gli occhi fissi al televisore guardo Veltroni parlare dal palco del Parco Massimo a Roma, davanti a una folla enorme che sventola bandiere del Pd. I colori predominanti sono il bianco e il verde, con una spruzzatina di rosso. In mano una tazzina di caffé fatta per l'occasione con la napoletana vera, quella di Eduardo, con il 'coppettiello' di carta che trattiene l'aroma, e che non usavo da anni, ascolto le parole di Walter e le condivido ad una ad una. Poi riguardo la piazza e mi dispiace non essere lì, insieme agli altri, a sentire odore di umanità sudata, entusiasta, ad essere amica di ognuno dei due milioni e più di persone che sono in quella piazza.
Mentre Walter continua a parlare porto la tazza alla bocca e un sapore quasi dimenticato mi appanno lo sguardo, e invece di quella piazza in cui prevale uno sventolio di bianco, vedo una marea di bandiere rosse e un altro che parla dal palco e la folla che grida: "Enrico... Enrico..."
C'ero anch'io quella volta, come c'ero ad ogni manifestazione, ad ogni occupazione, sempre a sventolare quel pezzo di rosso, magari davanti a una fabbrica o in prima fila di fronte ai poliziotti schierati.
Allora ci chiamavamo 'compagni' e molti di noi sono diventati davvero compagni nella vita, perdendo a poco a poco per strada stracci di entusiasmo e di rosso.
Ma allora ci credevamo davvero, sognavamo le comuni, noi ragazze sfilavamo urlando "tremate, tremate, le streghe son tornate!" e levavamo in alto le dita in quel triangolo che tanto scandalizzava i nostri genitori.
Io alle manifestazioni andavo sempre con uno zainetto di tela verde sulle spalle ed ero quella che portava il caffé, dentro un thermos da un litro che bevevamo nei bicchieri di plastica portati da casa, seduti sull'erba, o ai piedi di un monumento, e c'era sermpre qualcuno che mi chiedeva: "Compagna ce n'è ancora per me?" Uno di questi aveva gli occhi azzurri come un pezzo di vetro e mi ha insegnato a fare all'amore, ma poi è andato troppo oltre, è entrato in clandestinità e ha fatto la guerra allo Stato.
Io no, io ho continuato a sfilare e ho manifestato anche contro quelli come lui.
Sempre con il mio zainetto e il thermos del caffé, prima da sola e poi con mio figlio sulle spalle, finché le piazze erano ancora colorate di rosso, a cantare a squarciagola 'Contessa' e ' Bella Ciao'.
Solo una volta sono andata senza lo zainetto e il caffé, sono andata solo per esserci anch'io, per piangere insieme agli altri, giovani, vecchi, operai e studenti, donne con la borsa della spesa e padri con i figli per mano, tutti con gli occhi gonfi, increduli che se ne fosse andato quell'uomo così minuto e che era un gigante, e tutti lì a salutarlo col pugno chiuso e l'Unità in mano, su cui era scritto a tutta pagina: "Addio". Addio a Enrico Berlinguer.
Ritorno in me e mi rimetto a guardare Walter. Parla bene, ma la tristezza mi chiude la gola, se penso a che miseri nemici abbiamo adesso.