Paolo Bertoncini
Milano, gennaio, un lunedì mattina

Il cervello s'illude di non esser qui, di stare ancora a letto a godersi il caldo tepore delle coperte. Centinaia di volti incrociano il nostro sguardo, smarriti, persi nella luce del giorno che nasce, il sole di un dannato lunedì mattina. tre teste, sei piedi, camminiamo come automi urtandoci e spingendoci, inciampando, guardando le ragazze per strada e ridendo di incredibili stupidaggini. I Pensieri vorticano sulle consegne, sulle tempistiche, sui progetti e le illustrazioni che stiamo seguendo... tanto lavoro, poco tempo. Non dobbiamo nemmeno ordinare, ci guardano ed ecco tre caffè fumanti pronti. Neanche fosse stata vodka, un sorso e via, tintinnio di monete e siamo già per strada, di ritorno, il pensiero proiettato alle cose da fare, ancora intorpidito e con una leggera scottatura in gola, una scottatura che ci dona un senso di calore. Le chiavi nella toppa e si prende posto al computer, mentre nella testa ci si chiede quando porteranno le ricariche per la macchina del caffè dell'ufficio. Oggi? Forse domani...
Chiara Ianni
Milano, ottobre, una mattina come tante

La sala d’attesa continuava a riempirsi, sentivo mancarmi l’aria. Un pincher impazzito abbaiava rabbioso e apparentemente senza motivo.
Il vociare delle persone si mischiava agli annunci dell’altoparlante, i treni in arrivo fischiavano sui binari, mi aspettavo quasi di sentire gli sbuffi delle locomotive di un tempo passato.
Mi sentivo fuori luogo in mezzo a tanta gente che stava per partire, io non andavo da nessuna parte. Aspettavo qualcuno che sarebbe rientrato nella mia vita ma non ero certa neppure di quello. Farla rientrare significava cambiare tutto, stravolgere l’intero corso della mia esistenza, ammesso che fino a quel momento ne avesse avuto uno.
Datemi tempo per pensare, datemi tempo avrei voluto urlare a quella gente. Che cosa sta succedendo?
L’avevo voluto quel momento, con tutte le forze, l’avevo sognato ogni notte fin dall’infanzia, avevo pregato un dio nel quale ormai non credevo più per farmi riavere mia madre, quella vera, per averla accanto.
Mi alzai di scatto, non potevo rimanere in quella sala d’attesa un minuto di più. All’arrivo del suo treno mancava ancora un’ora, perché ero arrivata così presto? M’infilai di corsa nel bar della stazione, forse lì avrei trovato riparo dalle voci che si agitavano dentro e fuori dalla mia testa.
Seduta al bancone ordinai un caffè.
Quando l’anziano e asciutto barista posò la tazzina davanti a me la guardai fissa. Quello poteva essere l’ultimo caffè della mia vecchia vita, passata senza mia madre, una vita che mi ero costruita da sola, senza i suoi consigli e la sua presenza.
Lo bevvi d’un fiato. Sapeva di lacrime e di assenza. Sapeva di liquido amniotico e di speranze che forse non sarebbero più state disattese. Quella tazzina d’inferno e futuro mi aveva bruciato la lingua e la gola e adesso lo sentivo scendere nel corpo.
Mi alzai dal bancone solo quando sentii l’annuncio del suo treno in arrivo.
Certa che l’avrei riconosciuta mi avviai al binario con il fiato mozzo, lo stomaco convulso e in bocca quel sapore amaro e tostato.
Finalmente solo di caffè.
Paolo Bertoncini
Milano, settembre, ore 14.10 circa

Sedili che odorano di cuoio in atmosfera blues. Tavoli in legno con infiniti caratteri incisi, segno di vita, di umanità, ricordi di troppe persone, di sogni, amori (andati a buon fine?), eterni nel tempo grazie a punte metalliche d'innocenti vandali. Un caffè parlando di lavoro, senza zucchero, senza usare il cucchiaino, senza troppi pensieri.

Liquirizia
Roma, agosto, ore 19.36 circa

Io lo prendo sempre macchiato con la schiuma... ma lo bevo anche macchiato freddo... e ah, con lo zucchero di canna!
Paolo Bertoncini
Lerici, agosto, ore 21.00 circa

Non serve comunicare, il semplice stare insieme, il prender contatto e stabilire delle abitudini. Bionda, montatura scura, un dolce sorriso. Tra le mani piattino e tazzina, il cucchiaino no, tanto non metto lo zucchero, avanza simile ad una visione celestiale scaturita dalla mia pigrizia. Il profumo del caffè caldo pervade la casa e i libri, decine, forse centinaia, poesie, prime edizioni e appunti, stipati su qualunque ripiano, dalle librerie ai tavolini, dal letto ai divani. Caffè sul tavolo, scruto tra le piante, le teste dei miei amici e la frangia di mia moglie. Come se fosse la prima volta, resto incantato a vedere la finestra spalancata sul mare, sul golfo di La Spezia, con un mare d'oro fuso e braci ardenti, un cielo ciano che sembra finto e una Liguria antica e preziosa come una poesia.
Paolo Bertoncini
Castro, maggio, ore 10.00

La cuccuma l'ha scesa, come dicono qui, e in pochi attimi è in tavola, vecchia e consunta, ma trasuda quella saggezza ed efficienza contadina che mi piace, che adoro. Lo verso nelle varie tazze, la mia per ultima, il profumo è un ottimo biglietto da visita. Lo bevo senza zucchero, assaporo il caffè del sud, buono, dannatamente buono per esser fatto in casa. E' la prima volta che bevo un caffè sotto Roma. L'aria sa di campagna speziata all'incenso, forse per le sterpi che stanno bruciando, forse per mille altri motivi. Decido che mi verso un'altra tazza e poi si parte!
Sara Tomasi
Milano, giugno, oltre le 3 di notte

"Ma sei scema? bevi un caffè adesso?"
"E allora? Chi sei? Mia madre... ho bisogno di ripigliarmi!"
Alza le spalle, fruga nella borsa, si accende una sizza.
Due secondi e tossisce come se l'avesse ingoiata.
"Sei proprio una ragazzina Tes"
"Pensa ai cazzi tuoi, mi sono strangolata con la cicca, altro che fumo!"
Risate. Due idiote, e questo è bellissimo. Non mi sento nemmeno sola stanotte, ma il caffè era proprio uno schifo, e le scarpe fanno malissimo.
"Che succede? Faceva cagare?"
Ne lascio metà e mi accendo anche io una sizza. Una sigaretta dopo il caffè... ma chi ci pensa a quanto sono preziosi questi istanti, questi attimi che scompaiono subito come stelle, che sono attimi usa e getta, che non torneranno mai, eppure sono perfetti.
Paolo Bertoncini
Milano, maggio, martedì mattina 2009

Un caldo da bordo piscina. Un dannato caldo da bordo piscina, e della piscina neanche l'ombra. Sole a picco, afa e asfalto molle, già di mattina.
Pigramente cammino fino al solito bar, cenni rubati, saluti assenti, il banco quasi vuoto. Eccoli i miei commensali, seduti ai tavolini, certi così di ritardare ancora un poco la triste giornata lavorativa.
La ragazza dietro il bancone sfoggia una lacoste troppo corta, un poco di pancia mi sorride, e io ordino un cappuccio. Chiaro, come faccio ogni mattina.
Mi guardo intorno pigramente, avvolto da un rumoroso silenzio di conversazioni stanche. La macchina del caffè è musica di sottofondo, rumore antico e gorgogliante, dannatamente elettrica, ma rispettabile. Incrocio lo sguardo con la ragazza intenta a bere un caffè alla mia sinistra, non serve dire niente, siamo entrambi in attesa di un miracolo: del risveglio mattutino, del prodigio della caffeina. Tutti si conoscono di vista. Nessuno si saluta. Certo che qui al Nord siamo proprio espansivi...
Paolo Bertoncini
Una mattina, Siusi


Mi rispecchio in miriadi di occhi schermati, il sole è già forte e gli occhiali da sole dominano tra i tavoli esterni del bar Regina. Il rumore della carta del giornale e il tintinnio dei cucchiaini mi richiamano alla realtà. Osservo i miei amici, e sono felice, in sintonia. Guardo incerto il mio caffè d'orzo e mi pento della mia scelta, ma ultimamente ne ho presi veramente troppi.
Scruto speranzoso la strada in cerca di qualche mia vecchia conoscenza, ma solo un cane assonnato popola la via. Mi piace pensare che siano tutti al caldo, nei loro letti morbidi a coccolarsi, a fare l'amore, a fare sesso. Mi viene da ridere a pensare alla realtà, al desiderio maschile ossessivo del buon risveglio, e alla dolce controparte che cerca scampo nella quiete del bagno... Ordino un altro caffè, però vero, al diavolo l'orzo!
Simone Tornaghi
una mattina qualunque

Un'altra mattina.. una come tante altre. Una delle solite di quando ho fatto tardi la notte prima; sempre.Ci sto. Meno dormo più reagisco alla sveglia.. nn lo capirò mai il perchè.
Una notte che si è protratta fino all'inizio di quello che alcuni chiamano mattina... Qualche ora di sonno. Ora sono in piedi, bagno per connettere, vestirsi in fretta.. sono in ritardo come sempre. Non ho tempo per farlo adesso, devo farlo per strada, di corsa. Primo bar girato l'angolo. Un saluto alle solite facce.. una battuta per l'occhio sbattuto. Un caffè. Forte. Fammelo doppio. Ma forte.......
.... Profumo. Sapore acre e devastante. Dolce in fondo. Uno di quei sapori che sono più buoni per l'odore e il profumo che li dipinge in testa, nell'anima.
Prima cosa che ingurgito... mi si attacca al palato. Un sapore denso che chiede solo alla lingua di passare velocemente a liberare il palato felpato. Uno di quei sapori che a volte ti fanno dare una scossetta al capo. Quasi ti fossi fatto un torto. Anzi un torto te lo sei fatto per averlo bevuto così di corsa. Almeno sai che quel sapore ti starà attaccato addosso, in fondo, fino quando non sarò davanti al monitor...
monitor ...
cazzo sono in ritardo...
Paolo Bertoncini
Milano, notte di lavoro
Gli occhi a una certa ora gridano di smettere, ma non si può. Lo studio è silenzioso, passi vicini riecheggiano tra le pareti, tutto tace. Dovrei essere a letto, dovrei guardare un film, eppure digito stancamente i tasti del Mac, respiro pigramente il profumo del caffè che deve farmi continuare fino alla fine. Ci sono parole dentro che vorrebbero uscire, ma non si riesce mai a parlare come si vorrebbe con i propri colleghi, spesso la gente non vede niente, analizza e critica e non si rende nemmeno conto di cosa la gente pensa in realtà di loro. Quelli al piano di sotto hanno ripreso a litigare. Il caffè mi accende, svuoto la testa dalle parole vuote che mi feriscono e che riecheggiano incessanti nel mio cervello. Mi attende un'ora circa, forse due di fatiche, ma mi conosco, e sono certo di farcela... e poi c'è sempre il caffè, quello non manca e non tradisce mai!
Paola Prinetti
Milano, Liceo Berchet, già troppi anni fa
Non saprei dire quando né con chi, ma sono certa che fu lì la mia prima volta. E che non mi piacque affatto.
Nulla di scabroso, né di illegale. Non parlo di sesso e nemmeno di un bacio; manco di una canna.
Avevo fatto le Marcelline...
Molto più semplice.
Un caffé.
E quella prima volta...un saporaccio.
Ma aveva il gusto dell'età adulta e un vago aroma di consapevolezza, per questo me ne innamorai.
A distanza di anni, è diventato un compagno fedele e irrinunciabile, che mi tiene gli occhi aperti. Letteralmente.
Eppure sono convinta che non lo ameremmo così se si potesse bere fin da bambini. E' qualcosa cui si ha diritto quando si ha un po' di stomaco... E quando quel momento arriva, fosse anche una tazza colma di fiele, la tracanniamo convinti che sia un elisir.
E passiamo gli anni successivi a scoprire che lo è davvero.
Sara Larnis
Bolzano, lunedì di streghe
Non guardo, ossevo bambini e cani correre come matti tra la gente, gli occhietti che brillano come indemoniati. Gli uomini sono proprio scemi a farsi tanti problemi, a esser così preoccupati in modo banale. Ecco il caffè, alla tedesca, come piace a me. W. non c'è oggi. Nemmeno domani. E' freddissimo. Inizio anno di quelli tragici, mi sento come un sacchetto di carta rosso (ne ho uno in cucina) molto molto vuoto e leggero. Ho più paura di stare sola. Vorrei semplicemente passare oltre, cancellando un po di sbagli del passato. Invidio un po la ragazzina tutta in lana rossa che mi guarda. Magrissima. Me ne vado, sono ammalata fino nelle ossa. Spero nella febbre, vediamo se almeno questa funziona.
Paolo Bertoncini
Milano, sabato di mercato, novembre
L'ansia di aver dimenticato di spostare l'auto venerdì sera, è uno dei miei principali fattori di "sveglia tachicardica e terribile" del sabato mattina. Il panico di quello che può succedere alla mia opel dimenticata... l'ira dell'ambulante in piedi dall'alba per montare il suo stand, la sua bancherella, o posizionare il suo camion e iniziare a cuocere i polli allo spiedo...ed ecco lì l'opel di qualche stronzo che non ha letto i cartelli. Se va bene viene rimossa, se va male viene rimossa uguale, ma con la scritta STRONZO incisa sulla fiancata. Mi gusto assonnato il mio caffè, felice di averla spostata, di poter fantasticare di questa mia paura sapendomi al sicuro, con l'auto in un'altra via, che riposa pigramente sotto un cielo grigio come lei.
Chissà se capita spesso che ci si dimentica la macchina?